venerdì 15 maggio 2009

I compagni espulsi e dimessi dal Partito dei CARC: sul significato della Lotta Ideologica Attiva




14 maggio 2009

Premessa
All’interno del Partito dei CARC negli ultimi mesi si è aperta una lotta ideologica che si è conclusa con la espulsione della compagna Lia Giafaglione, del compagno Valter Ferrarato e con le dimissioni del compagno Danilo Ruggieri, tutti e tre membri della Direzione Nazionale (DN) del partito e rispettivamente Responsabile Nazionale dell’Organizzazione e membra del Comitato Direttivo (CD) della DN, responsabile economico e del lavoro elettorale della federazione Lombardia-Piemonte, segretario della federazione Lazio. L’attuale gruppo dirigente ha inoltrato un comunicato pubblico il giorno 14 aprile 2009 per comunicare l’espulsione dei due dirigenti, Lia e Valter.
La discussione in merito a questa lotta ideologica ha preso forma nel tempo. Essa è nata inizialmente all’interno del Comitato Direttivo (CD) della Direzione Nazionale (DN) del Partito dei CARC sul tema del dibattito franco e aperto (DFA) e si è allargata man mano a tutta la DN , ma si è andata definendo meglio solo nel mese di dicembre ’08. Essa aveva come temi principali il centralismo democratico, il problema del rapporto tra lavoro ordinario e lavoro straordinario e la questione dei “compagni che scoppiano”.
Il CD aveva stabilito che nella DN di marzo ’09 si sarebbe dovuti arrivare a una prima conclusione del dibattito in corso. Invece, dieci giorni prima della DN stessa, il segretario nazionale ha steso e fatto girare tra i membri della DN un documento in cui chiedeva alla compagna Lia e al compagno Valter (i due compagni che portavano nel dibattito le posizioni divergenti dalla maggioranza) una richiesta di autocritica su questioni pretestuose (atteggiamenti da cricca, supposte denigrazioni degli altri membri dirigenti, ecc). Tale richiesta, posta in un documento assieme ad altre posizioni del SN sulle altre questioni in discussione, è stata proposta al voto alla DN. Nella stessa DN veniva inoltre messa ai voti la formazione di un nuovo organismo dirigente, l’ufficio del CD, che in pratica vedeva l’estromissione dal massimo organo dirigente della compagna Lia, che oltre essere membro della DN, era anche Responsabile Nazionale del Settore Organizzazione e membro del CD.
I compagni Lia e Valter alla richiesta di autocritica hanno risposto entrambi con un documento in cui spiegavano i motivi per cui non potevano e non ritenevano di dover fare autocritica.
Le modalità della discussione, sia nel periodo precedente sia nella DN stessa, sono risultate ambigue e scorrette. Mentre si accusavano i compagni della minoranza di avere atteggiamenti da cricca, si formavano delle cricche per comporre precedentemente una maggioranza compatta; si richiedeva inoltre autocritica ai compagni (su fatti talaltro non veritieri) in nome della disciplina e del centralismo democratico. La compagna Lia, date le modalità ambigue, ha presentato alla DN una mozione per continuare la discussione, che era stata inficiata dalle accuse a lei rivolte e dalla richiesta di autocritica da parte del SN dieci giorni prima la DN. La discussione proposta dalla compagna Lia doveva avere come obiettivo sia quello di sviluppare il dibattito in corso, sia quello di appurare le modalità stesse di preparazione della DN. La compagna è stata accusata di voler continuare all’infinito la discussione bloccando in tal modo l’attività del partito. Di particolare rilevanza è il fatto che era già stata fissata la DN di maggio, DN che sanciva proprio l’apertura dei lavori precongressuali: momento più alto per lo sviluppo e l’approfondimento del dibattito in tutto il partito.

In questo documento illustriamo sinteticamente la volontà da parte della dirigenza del Partito dei CARC di soffocare il dibattito e di assumere una direzione burocratica e antidemocratica. Volontà perpetrata anche attraverso la richiesta di un’autocritica ai compagni che portavano dubbi e posizioni alternative alla linea che si stava sviluppando all’interno del partito proprio a ridosso dell’apertura del dibattito pre-congressuale, trattando le divergenze tra maggioranza e minoranza non attraverso il dibattito franco e aperto (DFA), ma attraverso l’estromissione della minoranza dagli organismi dirigenti, attraverso la calunnia e la denigrazione dei compagni della minoranza su fatti pretestuosi e non dimostrati. Questa linea di condotta avrebbe comportato (come di fatto sarà) l’inizio dei lavori precongressuali senza la presenza di posizioni divergenti o parzialmente divergenti.
La dirigenza del Partito dei CARC ha quindi fin dall’inizio ostacolato e infine impedito il dibattito. L’espulsione di compagni stimati da tutti i compagni della base del Partito, è avvenuta direttamente, senza neanche passare attraverso sanzioni intermedie quali il richiamo scritto e/o la sospensione, a dimostrazione della volontà di eliminare ciò che divergeva senza troppi intoppi e discussioni. Infatti, pur essendo stata lanciata una Lotta Ideologica Aperta (L.I.A.) (anche se solo dopo la DN di marzo), mai sono stati fatti conoscere a tutto il partito i documenti del dibattito, né quelli della maggioranza, né quelli della minoranza, affermando che il resto del partito doveva esprimere fiducia nella DN, unica istanza alla quale competeva il dibattito.

La linea che è prevalsa all’interno del Partito dei CARC con la terza LIA
Perché oggi nel Partito dei CARC può svilupparsi una terza LIA con queste caratteristiche?
Il Partito dei CARC si trova in un momento delicato. La crisi economica si trova in una fase in cui sta avvenendo un salto qualitativo e quindi la situazione oggettiva richiede alle organizzazioni popolari e comuniste di fare un salto anch’esse per essere più adeguate alla fase in cui stiamo entrando.

Il Partito dei CARC si trova ancora nel percorso di trasformazione da FSRS a Partito da secondo fronte (sul secondo fronte si veda quanto dice lo Statuto del Partito dei CARC e il Piano Generale di Lavoro del (n)PCI). Questo percorso di trasformazione è stato sancito sulla carta nel 2005. Davanti all’accelerazione della crisi la contraddizione principale che caratterizza il Partito dei CARC ha fatto un salto e lo scontro sulla strada da percorrere per favorire la soluzione positiva di tale contraddizione si è acutizzato.
Il Partito dei CARC si trova, a quattro anni da quella decisione, ancora ad affrontare tale trasformazione e a dover fare i conti con limiti, errori di attuazione della linea. Se da una parte il lavoro di questi anni ha portato ad un avanzamento, dall’altra, specialmente a partire dal 2007, il nostro sviluppo ha subito un freno, il partito non si è sviluppato secondo le potenzialità date dalle condizioni oggettive e soggettive. Il reclutamento e più in generale il legame con le masse è ancora troppo limitato per un partito che, essendosi collocato nel secondo fronte del PGL del (n)PCI, doveva diventare un partito di massa. Questa condizione poneva l’esigenza di un bilancio serio e approfondito. Nel 2009 dovrà tenersi il 2° Congresso del Partito dei CARC: quale argomento più indicato per il dibattito precongressuale!
Il riconoscimento di questi limiti è stato uno dei temi di scontro in questi anni. L’attuale destra alla direzione del Partito dei CARC ha più volte accusato di disfattismo i compagni che lamentavano la mancata crescita del Partito, anche quando questi compagni erano coloro che più si sono impegnati nel reclutamento.
Per superare in maniera positiva la contraddizione principale, cioè per avanzare nella trasformazione in partito da 2° fronte, bisognava rafforzare il lavoro collettivo, la trasformazione collettiva, il dibattito franco e aperto, la crescita dei quadri attraverso l’assimilazione del Materialismo Dialettico, l’autonomia ideologica e di orientamento di ogni membro, la capacità dei dirigenti e dei membri di rapportarsi alle masse, di essere punto di riferimento delle masse popolari, di essere compagni capaci di conquistarsi la fiducia nelle masse, di migliorare la loro relazione con le masse popolari e in particolare con gli elementi avanzati di esse (soprattutto con la base rossa della sinistra borghese).
L’attuale dirigenza del Partito dei CARC (la parte che noi riteniamo rappresenti la destra, cioè quei dirigenti che per opportunismo o per arretratezza concepiscono in maniera sbagliata la strada da percorrere per fare il salto a partito) invece di analizzare la nostra linea per scovarne limiti ed errori, per portarla ad un livello superiore attraverso l’analisi concreta della situazione concreta e il bilancio dell’esperienza, ha affermato che la linea era principalmente giusta e che gli errori e i limiti stavano nella sua applicazione individuale, erano limiti ed errori dei singoli dirigenti e dei singoli membri.
In pratica la destra praticava il contrario del concetto che invece andavamo affermando: “bisogna partire dalla testa”. Partire dalla testa per noi significa non tanto scovare l’errore e il limite in quel singolo dirigente (che è un aspetto necessario, ma secondario), ma fondamentalmente significa scovare gli errori che il gruppo dirigente fa nel concepire e definire la linea e applicarla (definire le operazioni tattiche).
Non a caso nei documenti del Partito dei CARC sulla terza LIA (ma anche in quelli del (n)PCI) si cerca di spiegare la rottura del partito attraverso gli errori dei singoli membri espulsi o dimessisi, rimettendo ai singoli tutti gli errori e i limiti della linea del partito, esorcizzando così il timore di individuare i limiti nella linea, sperando che l’eliminazione dei singoli rimetta a posto il partito senza un’analisi critica della linea che esso sta seguendo. Infatti i dirigenti e i compagni che criticavano e cercavano di stanare gli errori per trovare la strada per risolverli venivano considerati disfattisti e antipartito. L’aspetto principale non era trovare i punti deboli e superarli, l’aspetto principale era vedere, soprattutto e spesso, solo gli aspetti positivi e cantare vittoria.
La destra ha una concezione non dialettica del rapporto teoria/pratica, stante il fatto che non verificava la teoria tramite il bilancio della sua applicazione nella pratica e dei risultati conseguiti. La destra sostiene che la teoria è giusta pur senza farne un bilancio, ma la pratica solo di alcuni dirigenti e membri è sbagliata.
È per questo che nasce la tendenza a personalizzare la LIA e a ridurre tutto a questioni personali: le personali arretratezze presunte o reali dei singoli compagni.
Anche la valutazione dei quadri fatta dalla destra segue lo stesso principio. I quadri vengono valutati separando la teoria dalla pratica: vengono valutati per ciò che affermano invece che per ciò che fanno, non dai risultati ottenuti con la loro direzione. Tanto che da un certo punto in poi si è cominciato a svalutare i risultati concreti e positivi ottenuti dai quadri dirigenti (quelli critici), a non usarli come esempi positivi da valorizzare.
Questa visione ha permesso di rafforzare nel gruppo dirigente le tendenze opportuniste e l’arretrato, ha rafforzato la destra.
Con la campagna post-congressuale lanciata dal (n)PCI e portata avanti in tutti gli organismi della cosiddetta “carovana” del (n)PCI ci si è concentrati sulla trasformazione interna, non intesa però come collettivo, come partito che deve trasformarsi, ma intesa principalmente come trasformazione di ogni singolo membro e di ogni singolo dirigente. Con questa concezione e con la conseguente impostazione del lavoro, diventa secondario come opera il partito nel suo complesso sia all’interno che all’esterno. Diventa invece più importante cosa ogni singolo membro fa.
Ogni singolo membro deve lottare contro le sue resistenze, le sue arretratezze, ma questa lotta non porta una trasformazione del modo di operare del partito. Come se la trasformazione può avvenire principalmente perché ogni individuo cambia e non perché si creano le condizioni nell’ambito collettivo affinché ogni singolo individuo si trasformi. Si torna alle concezioni tipiche della sinistra borghese: per cambiare la società prima deve cambiare la coscienza di ogni singolo individuo. Questa concezione trasposta all’interno del partito rende principale la trasformazione del singolo e secondaria la trasformazione del partito.
Questa tendenza si manifesta anche
- nell’appello a migliorare l’analisi concreta senza però favorire il dibattito franco e aperto nel collettivo;
- nell’appello a migliorare la dedizione alla causa di ogni singolo dirigente e membro chiedendogli avanzamenti e sacrifici, ma non usando come esempi positivi coloro che hanno già fatto passi avanti;
- non dirigendo (o si ostacola la direzione di) chi fa passi avanti, ma conservando nei ruoli dirigenti coloro che nei fatti non li fanno o ancora non li hanno fatti (non importa se i motivi sono opportunismo o arretratezza, ognuno ha i suoi tempi di crescita);
- non ponendo soluzioni concrete e collettive per far fare passi avanti ai compagni per superare le loro presunte o reali arretratezze ideologiche.
Nei fatti, anche nel campo della formazione, la concezione della destra pone la coscienza prima della materia, la teoria prima della pratica.

Sul Centralismo democratico
Il modo in cui è stato soffocato e infine inibito il dibattito di questi mesi mostra la concezione che è prevalsa all’interno del Partito dei CARC: il centralismo democratico concepito soltanto nel suo aspetto del centralismo e della disciplina e non nel suo aspetto della democrazia e del dibattito; il partito concepito come qualcosa di monolitico nel quale il dibattito deve essere soffocato e la minoranza è vista come un disturbo da soffocare o isolare sbrigativamente; le contraddizioni tra il vecchio e il nuovo, tra il giusto e lo sbagliato concepite come antagoniste; l’unità del partito concepita senza il dibattito franco e aperto, un’unità quindi di facciata e non un unità basata sulla piena coscienza dei militanti; la lotta tra le due linee concepita in modo unilaterale e infine burocratico.
Sul centralismo democratico è prevalsa una concezione non dialettica, cioè quella di considerare solo un polo della contraddizione, il centralismo, a scapito della democrazia, anziché la relazione tra i due. Anche in questo caso la contraddizione è stata concepita come antagonista, come se un polo dovesse eliminare l’altro. In particolare nella fase pre-congressuale a cui si accingeva il Partito dei CARC, doveva essere posta come principale proprio la democrazia.
La preoccupazione maggiore in questa LIA è stata l’unità del partito non basata sul dibattito, sulla dialettica tra vecchio e nuovo, giusto e sbagliato, quindi sull’unità a livello più alto, ma sull’unità basata sulla subordinazione dell’inferiore al superiore, della minoranza alla maggioranza, (ben più raramente dell’individuo al collettivo), vedendo queste coppie di opposti in antagonismo tra loro.
Si è eliminato il concetto di controllo dal basso degli organismi dirigenti eliminando di fatto la consegna di bilanci, diari, resoconti del proprio operato da parte di alcuni dirigenti che oggi fanno parte della destra; eliminando la possibilità della base di giudicare e quindi eleggere con cognizione di causa il gruppo dirigente; sostituendo la fiducia nella maggioranza e nella dirigenza in quanto tale piuttosto che nel partito e nel suo funzionamento comunista analizzato concretamente dai suoi membri.
Negli argomenti in discussione nel Partito dei CARC sui “compagni che scoppiano” e sul rapporto tra lavoro ordinario e lavoro straordinario, si riflette lo stesso tipo di concezione per cui il polo che sta alla base, l’ordinario sullo straordinario, ad esempio, viene rovesciato (come la teoria e la pratica) e non è più il rafforzamento del lavoro ordinario la misura della validità del lavoro straordinario, così come non è più la pratica la misura della validità della teoria.
Nel lavoro concreto questo ribaltamento ha portato ad un idealismo nella tattica, per cui invece di considerare il rapporto tra condizioni oggettive e soggettive in modo dialettico, invece di analizzare entrambi gli aspetti e definire poi quale di essi fosse principale, si sono considerate solo le condizioni soggettive (le forze interne) definendo dei piani di lavoro che non avevano un legame con le condizioni oggettive (l’esterno); in particolare questo è emerso con la questione sui “compagni che scoppiano”. Nel considerare le condizioni soggettive non si è messa in relazione la quantità e la qualità.
Ad ogni campagna che non portava agli obiettivi individuati, se ne sostituiva un’altra che a sua volta non portava ai nuovi obiettivi individuati. Ad ogni campagna che non portava ai risultati sperati e dichiarati si contrapponeva che nella fase non era importante il lavoro pratico, ma era più importante l’aspetto teorico. In certe fasi è stato giusto procedere in questo modo (vedasi la 2° LIA), ma proprio come la pratica non può svilupparsi oltre un certo livello se non è supportata da una teoria adeguata, altrettanto vale per la teoria: se essa non deriva da un’analisi concreta della situazione concreta con cui essa viene verificata e migliorata, si trasforma in teoria sterile.
Ad ogni campagna, invece di capire cosa non aveva portato a raggiungere gli obiettivi definiti si vedevano solo gli aspetti positivi senza determinare quali erano i nodi da superare, tanto da arrivare a fare i bilanci delle campagne che fondamentalmente non avevano raggiunto neanche lontanamente gli obiettivi definiti, ma in cui si scriveva che: i limiti non erano stati individuati, non c’erano!
Si è continuato produrre una teoria senza ricavare insegnamenti dalla pratica. Non si è arricchita la teoria attraverso la pratica.
Si è invertito il rapporto teoria-pratica, soggettivo-oggettivo, coscienza-materia, scadendo quindi nell’idealismo, nel soggettivismo e infine nel personalismo.
Le tendenze sopradette hanno un’origine nella concezione stessa del partito e sono tendenze che sempre sono presenti nel partito. Fino ad ora sono state secondarie e oggi diventano principali perché, davanti ad una svolta, per la destra diventa determinante non arrivare a fare il bilancio per rettificare la linea nel modo dovuto, ma affermare la sua direzione senza individuare i limiti e gli errori, nonostante i risultati del nostro lavoro indichino chiaramente (a chi non ha paura di vederli) che limiti ed errori esistono.

Cosa stava impedendo la nostra crescita il nostro legame con le masse?
1. Una concezione del partito che non tiene conto della prima ondata rivoluzionaria. Non tiene conto della crescita avuta dalle masse popolari nella prima ondata, della capacità e della necessità oggi più alta di democrazia interna al partito, di un legame più alto con le masse esterne al partito. Argomenti che chi, invece, vede nel maoismo una terza superiore tappa del movimento comunista, come il PC nepalese, pone al centro della sua impostazione. Un uso del centralismo democratico volto più al mantenimento dello status quo che allo sviluppo dell’unità superiore. Un centralismo burocratico che soffoca il dibattito (la conduzione della terza LIA né è la dimostrazione più eloquente).
2. Una concezione da setta che pretende il riconoscimento del proprio ruolo d’avanguardia in nome di una giusta analisi piuttosto che in nome di un intervento reale tra le masse popolari. Una concezione che concepisce il partito come gruppo di avanguardia che deve guidare il processo di rafforzamento del partito senza avere un legame con le tendenze presenti nelle masse alla costruzione del partito, che quindi non riesce legarsi al processo oggettivo di rinascita del movimento comunista.
3. Una concezione che non tiene conto realmente della teoria della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata e che si rifà invece alla vecchia concezione già superata da Engels della rivoluzione come insurrezione.

Da queste concezioni deriva tra l’altro:
- La difficoltà a legarsi e a sostenere la sinistra interna alle masse (e qui includiamo anche le altre FSRS e i la sx dei partiti della sinistra borghese). Sostenere la sinistra non è individuare chi tra le masse riconosce il Partito dei CARC o il (n)PCI, ma chi tra esse opera oggettivamente (cioè al di là delle intenzioni e delle dichiarazioni) per l’avanzata della rivoluzione socialista. Anche qui è prevalsa nel Partito dei CARC la concezione soggettivista e idealista. Infatti non eravamo noi a fare liste elettorali con parti delle masse popolari già mobilitate su questo terreno, ma erano le masse (FSRS e base rossa) che “dovevano” fare liste con noi. E anche se a parole dicevamo altro, in effetti per fare liste con noi dovevano riconoscersi nel socialismo e dovevano praticamente riconoscere il Partito dei CARC e il (n)PCI. Infatti oggi ci si lamenta dell’arretratezza dei dirigenti di Sinistra Critica, PCL, PRC, PdCI e quanti altri non hanno voluto fare con il Partito dei CARC le liste comuniste senza invece chiederci quali errori, quali limiti, quale analisi sbagliata aveva il Partito dei CARC che non gli ha permesso, malgrado l’obiettivo definito, di fare le liste comuniste. Lamentarsi delle arretratezze altrui, in questo caso dei dirigenti dei partiti della sinistra borghese o dei dirigenti dei partiti che si sono staccati dalla sinistra borghese, fa il paio con coloro che si lagnano dell’arretratezza delle masse popolari che non seguono i comunisti.
- Una concezione del centralismo democratico (che abbiamo già descritto) che porta addirittura i compagni del Partito dei CARC ad affermare non solo che non importa che la direzione non dà al partito tutto i documenti della maggioranza e della minoranza prodotti durante la LIA , ma che addirittura porta i compagni ad affermare che se anche li avessero a disposizione non li leggerebbero, perché non vogliono sapere, non gli interessa. Se la maggioranza della DN dice una cosa, è così: questa, secondo la destra, sarebbe fiducia nel partito!

Da questa concezione deriva un rapporto sbagliato tra Partito dei CARC e (n)PCI
Il contributo dato dai CARC e poi dal Partito dei CARC alla ricostruzione del partito comunista, da forza propulsiva è diventato una camicia di forza per il Partito dei CARC, che non hanno assunto il ruolo che a parole dichiaravano di voler assumere: essere un partito da 2 fronte. Il Partito dei CARC ha invece continuato o ripreso a operare su tutti e quattro i fronti del PGL, a non portare fino in fondo il suo compito di operare sul secondo fronte. Riprova di questo è lo scarso risultato ottenuto in campo elettorale e lo scarso legame ottenuto con il lavoro elettorale e con il lavoro di irruzione. Il Partito dei CARC tende a essere una copia del (n)PCI.
Da questa concezione deriva inoltre
- una strutturazione del partito come partito di quadri e con una disciplina e una struttura organizzativa da partito rivoluzionario piuttosto che da partito da 2° fronte;
- un riconoscimento del (n)PCI inteso anche in campo organizzativo come se fosse l’istanza superiore che dirige il Partito dei CARC, gli organismi della carovana e qualunque organismo che dovesse riconoscere la giustezza del PGL. Quindi l’impostazione del rapporto con il (n)PCI basata sulla direzione gerarchica (verticale) invece che sulla linea di massa (concetto che è scomparso anche nell’ultimo comunicato del (n)PCI);
- un riconoscimento “obbligato” del (n)PCI e della settima discriminante da parte di chi aderisce al Partito dei CARC, anche se tale obbligatorietà viene negata a parole;

Autocritica
Noi compagni oggi espulsi e dimessi, nel fare il bilancio della terza LIA, riconosciamo in noi alcuni importanti limiti ed errori di concezione.
1. Una concezione ancora arretrata della Lotta Ideologica e del Partito che ci ha portati negli anni ad avanzare critiche, ma a non portarle fino in fondo per paura di rompere l’unità del partito. Questo è lo stesso errore che fece la sinistra del vecchio PCI che mise la disciplina davanti alla giustezza della linea e che non lavorò per definire una linea alternativa a quella espressa dalla destra. Fece l’ala sinistra della destra.
2. Non abbiamo portato fino in fondo la lotta spinti dalla concezione che, essendo tutti comunisti, prima o poi tutti i compagni avrebbero cercato la verità, sarebbe bastato mostrare loro gli errori perché prima o poi “avrebbero imboccato la strada giusta”. In questo senso effettivamente è prevalsa la concezione di “gruppo di amici”: una concezione ancora ingenua e idealista dei comunisti e del loro partito. La lotta nel partito comunista è invece il riflesso della lotta di classe, quindi le tendenze che si manifestano nel partito devono essere considerate sotto questa luce.
3. Pur vedendo, in una certa misura, errori e limiti, non ne abbiamo capito la portata e le conseguenze che essi potevano avere se non combattuti con decisione man mano che si presentavano. Per questo non ci siamo assunti la responsabilità di portare avanti la battaglia necessaria contro l’opportunismo di destra, che ovviamente già esisteva nel nostro partito e che ha così avuto la possibilità di sedimentarsi, rafforzarsi e infine prevalere. Praticamente nella sinistra ha prevalso una concezione “legalitarista” all’interno del partito.
4. L’aver ingaggiato in ritardo la battaglia per assimilare la giusta concezione e poi la giusta applicazione del centralismo democratico e del DFA, ha permesso di fatto di formare quadri intermedi che hanno una visione errata, burocratica del centralismo democratico; di formare quadri che invece di sviluppare la loro autonomia ideologica basano tutto sulla disciplina e sulla fiducia incondizionata al partito in quanto tale invece che sulla fiducia alla linea espressa dal partito; compagni che non ritengono loro dovere contribuire con autonomia e creatività alla definizione della linea e che invece di prendere questo impegno davanti alla masse popolari e la classe operaia si sentono impegnati solo davanti al partito stesso. Questo ha prodotto e produce autoreferenzialità.
Noi compagni espulsi e dimessi, stante i nostri limiti sopra indicati, non ci aspettavamo la nostra estromissione dal partito. Questa terza LIA ci ha imposto una riflessione ulteriore e un bilancio più approfondito dei nostri anni di militanza all’interno dei CARC.
Il Partito dei CARC, a cui riconosciamo di avere portato avanti il processo di ricostruzione del partito comunista svolgendo un ruolo di avanguardia, è scivolato nell’autoreferenzialità. Questa deviazione ha fatto perdere al partito il legame con le avanguardie di lotta (legame che infatti non si è sviluppato); gli ha fatto perdere la capacità di stare tra le masse, la capacità di stare nelle lotte; lo ha fatto chiudere nella “sapienza” della sua teoria, nei suoi uffici; lo ha fatto diventare un partito di quadri inteso in senso negativo, di funzionari-impiegati. Questa autoreferenzialità lo porta ad auto eleggersi avanguardia. La terza LIA e le modalità in cui si è sviluppata sono la conseguenza di tale autoreferenzialità.
Siamo convinti che il nostro percorso all’interno dei CARC ci ha permesso una grande crescita come comunisti e come dirigenti. Siamo altresì convinti di avere dato un contributo di fondamentale importanza alla rinascita del movimento comunista perché i CARC hanno rappresentato, dalla loro nascita fino a pochi anni fa, un’organizzazione di avanguardia. Essi hanno posto con forza una discriminante fondamentale nel movimento comunista: la necessità della ricostruzione del partito comunista. Hanno contribuito, dando un riconoscimento politico e sostenendolo nella loro propaganda, alla costruzione del (n)PCI che a sua volta ha posto il dibattito sulla settima discriminante, cioè ha posto l’attenzione sulla clandestinità, sulla strategia della GPRdiLD, sul concetto di controrivoluzione preventiva e su cosa significa costruire oggi nei paesi imperialisti un partito comunista. Non crediamo però che il dibattito su questi temi sia già terminato. Perché la pratica pone nuovi problemi e impone ulteriori bilanci e nuove soluzioni.
Il mancato sviluppo del Partito dei CARC impone nuove riflessioni e nuove tattiche.
Quanto alle più recenti proposte tattiche avanzate dal (n)PCI, come ad esempio la “costruzione del Governo di Blocco Popolare”, il dibattito sviluppato nella carovana è stato praticamente nullo. Tali proposte si presentano ancora come generico propagandismo, se paragonate alla partecipazione alle elezioni borghesi che la carovana del (n)PCI ha sviluppato dal 2001 al 2008.
Noi non riteniamo che la spaccatura interna al Partito dei CARC e del (n)PCI segni un avanzamento del movimento comunista. Questo non perché ripudiamo il concetto che l’epurazione rafforza, ma perché anche questo concetto è giusto in relazione alle condizioni concrete. Quindi un’epurazione può rafforzare o indebolire. Un’epurazione rafforza se è frutto di un dibattito collettivo che sfocia in un’unità superiore, per cui la nuova unità raggiunta espelle ciò che è rimasto arretrato e si oppone. Non è il caso di questa terza LIA che non nasce da un dibattito, ma nasce da alcune manovre di una parte del gruppo dirigente per eliminare sul nascere qualunque dissenso e minoranza che potesse rappresentare tale dissenso. Questa epurazione è quindi un indebolimento per il movimento comunista.
Nonostante ciò il nostro nuovo impegno politico segnerà un avanzamento del movimento comunista nella lotta contro l’opportunismo e il soggettivismo Quantitativamente siamo oggi certamente deboli. Ma la lotta contro la deriva opportunista e soggettivista nella carovana del (n)PCI ha dato vita a nuovi organismi di compagni qualitativamente più avanzati: ricchi dell’esperienza passata e rafforzati dalla lotta appena condotta.
Riteniamo inoltre, a fronte del bilancio del percorso intrapreso dal Partito dei CARC, che il processo di ricostruzione del partito debba effettivamente raccogliere tutto ciò che vi è avanzato nel nostro paese, debba raccogliere le avanguardie di lotta e legarsi concretamente alla tendenza presente nelle masse alla ricostruzione del partito.

La nostra provenienza di militanza ci fa rischiare di rimanere ancorati al Partito dei CARC. Riteniamo che questo sarebbe un grave errore e una grave perdita di tempo. Non vogliamo cadere nell’autoreferenzialità dei CARC neanche facendo i loro “nemici”. Lasciamo a loro l’hobby di inveire e di dare la colpa dei loro errori a quei due-tre dirigenti che si sono dimessi o sono stati espulsi. Noi siamo convinti che i limiti stanno principalmente nella testa, quindi stanno nella nostra concezione e nella nostra linea (nostra intesa come collettiva e non come singoli compagni).
Consapevoli che rischieremo ogni tanto di cadere nell’errore di porci come “critici” dei CARC, ci impegneremo ad andare avanti e a trovare la strada con tutti i compagni che hanno la falce e martello nel cuore anche per approfondire il bilancio di questa fase del processo di ricostruzione del partito comunista (di cui diamo il merito ai CARC e a tutta la carovana del (n)PCI di averne compito una buona e significativa parte) e a riprendere ad un livello più avanzato il lavoro di ricostruzione del partito.
La direzione del Partito dei CARC e del (n)PCI diranno che questa è la dimostrazione del nostro passo indietro: ricominciamo a parlare di ricostruzione quando l’embrione del partito comunista già esiste. Non è vero! L’embrione del partito comunista stava nascendo malato. Col dolore della sconfitta ci apprestiamo a ricominciare, ma ogni sconfitta rafforza se dai nostri errori impariamo a fare meglio!

Proposta: costituzione di collettivi comunisti e del loro coordinamento
Noi riconosciamo valida l’analisi generale fatta dalla carovana del (n)PCI (crisi generale, resistenza al procedere della crisi, rinascita del movimento comunista, GPRdiLD) e riconosciamo la necessità oggettiva della classe operaia di dotarsi di un partito comunista quale suo Stato maggiore e la sua ricostruzione come compito principale dei comunisti.
La necessità del partito comunista non è un’idea geniale di un qualche comunista, ma è la scoperta di un fenomeno che è già nelle cose. La necessità del partito comunista si esprime nel movimento reale delle cose, si esprime nel dibattito (al di là di limiti e arretratezze) sull’unità dei comunisti oggi in corso nel nostro paese, si esprime nelle avanguardie di lotta e nella loro ricerca di legame reciproco, si esprime nei tentativi, per quanto scomposti e finora fallimentari, di ricostruire partiti e organizzazioni che abbiano come obiettivo ultimo un partito comunista che faccia dell’Italia un nuovo paese socialista.
Noi riteniamo che i comunisti debbano legarsi profondamente a questo processo per sostenere all’interno di esso (applicando la linea di massa) la parte più avanzata, la sinistra, quella parte che incarna e diventerà il soggetto principale della ricostruzione.
Riteniamo quindi che solo legandosi alla resistenza delle masse al procedere della crisi questo processo possa maturare e raggiungere il suo obiettivo. Legarsi alla resistenza delle masse però non significa costruire un gruppo di quadri la cui caratteristica principale è lo “sforzo per comprendere giustamente la situazione e i nostri compiti e per illustrarli e farli capire agli altri” (come afferma il (n)PCI nel suo Comunicato del 8.5.09, in cui mostra una concezione soggettivista e opportunista della dirigenza), ma è trasformarsi realmente in comunisti, cioè in compagni capaci di stare a fianco delle masse e di porsi alla loro testa, capaci di analizzare i sentimenti e le idee delle masse ed elevarne la capacità di direzione e di organizzazione.
Un partito comunista deve essere formato da vari livelli di quadri: dai quadri di livello più alto, dai quadri intermedi e dai quadri periferici. I quadri di livello più alto sono coloro che più di altri si distaccano dalle masse a favore dell’elaborazione e che sono quelli che più di altri rischiano di diventare “la borghesia nel partito”: sono quindi quelli che più degli altri devono essere sottoposti al controllo della base.
Stante l’analisi e il bilancio che abbiamo sviluppato sull’esperienza fatta dai compagni dimissionari della sezione di Torino, proponiamo come punto di inizio dello sviluppo organizzativo la costruzione di collettivi comunisti. Essi sono uno dei prodotti della resistenza delle masse al procedere della crisi. Ogni collettivo sarà rappresentante delle situazioni di lotta di cui è parte o in cui interviene, del suo territorio e del suo ambito sociale (fabbrica, scuola, quartiere, lotta specifica, ecc.).
Questi collettivi saranno scuole di comunismo per le avanguardie di lotta. La loro unione e il loro coordinamento sarà favorito dalle condizioni oggettive in cui il procedere della crisi generale del capitalismo costringe le masse popolari. Noi comunisti ne dobbiamo promuovere lo sviluppo e il legame.
All’interno di questi collettivi, così come in altri organismi delle masse popolari, noi comunisti promuoveremo la crescita degli elementi più avanzati (delle avanguardie). Essi costituiscono il concreto processo di ricostruzione di un partito comunista rivoluzionario che sarà legato (pur senza dirigerli gerarchicamente) con i collettivi e con tutti gli organismi rappresentanti della classe operaia e delle masse popolari.
La capacità delle avanguardie e la giusta linea politica e organizzativa dei comunisti membri del partito che andrà formandosi, determinerà il legame e la capacità di direzione sugli organismi delle masse popolari. Dagli organismi operai e delle masse popolari nascerà il partito e il partito dirigerà gli organismi operai e delle masse popolari.
Questo processo verrà guidato e sintetizzato da tutti quei compagni che già oggi comprendono e sentono la necessità di un partito comunista e che cominceranno a costruirlo partendo dal loro ruolo oggettivo nella lotta di classe e, in particolare, dalla loro attività politica attuale.
Invitiamo sin da adesso i compagni interessati a lottare per gli interessi immediati e strategici della classe operaia e delle masse popolari a unirsi in collettivi comunisti e sviluppare le lotte secondo le particolarità della loro storia e del loro territorio e della loro situazione di lotta.
Già adesso si sono costituiti o sono in fase di costruzione collettivi comunisti a Torino, Biella, Milano, Modena e Roma.
Noi stiamo già lavorando per la costruzione di un coordinamento di questi collettivi perché ogni lotta è parte di una lotta più generale, perché il nemico comune è la borghesia imperialista, perché l’obiettivo delle masse popolari è uno solo: il socialismo!
Il coordinamento dei collettivi serve a favorire lo sviluppo delle lotte scambiando informazione ed esperienza (obiettivi, metodi, risultati, ecc.) tra gli elementi delle masse e dei lavoratori che le promuovono e/o vi partecipano, sviluppando il dibattito e propagandando le lotte all’esterno e promuovendo la solidarietà e il sostegno reciproco.
Per la nascita del coordinamento dei collettivi comunisti organizzeremo una serie di incontri preliminari con ognuno dei collettivi esistenti per discutere la proposta e raccogliere idee e contributi. Concluderemo questa fase di inchiesta con una prima riunione di coordinamento da tenersi indicativamente a fine giugno.
Invitiamo i compagni presenti in questi collettivi già esistenti o che si costruiranno, così come i compagni appartenenti ad altri organismi, ad incontrarsi per sviluppare il dibattito in merito a questa nostra proposta.

Lia Giafaglione, Valter Ferrarato, Danilo Ruggieri
Per contatti: http://it.mc246.mail.yahoo.com/mc/compose?to=coorcolcom@tiscali.it; tel. 3336411102

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