domenica 18 aprile 2010
Sullo statuto del (n)PCI: dal soggettivismo all’isolamento
Il (n)PCI ha emesso un comunicato nel quale annuncia il suo primo Congresso e pubblica il suo Statuto. Vogliamo soffermarci su un punto del loro Statuto perché esso racchiude una concezione soggettivista che a nostro avviso caratterizza gli ultimi anni del lavoro della cosiddetta carovana del (n)PCI.
Il soggettivismo è una deviazione da contrastare all’interno del movimento comunista affinché prevalga una giusta concezione materialistico-dialettica che permetta di sviluppare il processo di costruzione del partito, tenendo adeguatamente conto della situazione oggettiva, ed in particolare ponendo l’accento sulla necessità di uno stretto legame con la classe operaia e le masse popolari. Il soggettivismo conduce all’autoreferenzialità e al settarismo, quindi all’isolamento.
Il punto 6 dello statuto emesso dal I Congresso del (n)PCI dice: Principi organizzativi principali del Partito sono il centralismo democratico e la lotta tra le due linee. I due principi sono tra loro complementari: sono i due termini opposti di una unità dialettica. Tra i due, in alcune circostanze è principale il primo, in altre è principale il secondo.
Il centralismo democratico si sintetizza nei seguenti quattro punti: 1. elettività di tutti gli organi dirigenti dal basso in alto; 2. obbligo di ogni organo di partito di rendere periodicamente conto della sua attività all’organizzazione che lo ha eletto e agli organi superiori; 3. rigorosa e leale disciplina di partito e subordinazione della minoranza alla maggioranza; 4. le decisioni degli organi superiori sono incondizionatamente obbligatorie per gli organi inferiori.
Il principio della lotta tra due linee ci insegna che nel Partito comunista in ogni campo esistono sempre due tendenze, una che spinge in avanti e una che frena. Esse sono l’effetto combinato della contraddizione di classe (dell’influenza della borghesia e della lotta contro di essa), della contraddizione tra il vero e il falso e della contraddizione tra il nuovo e il vecchio. In certi periodi le due tendenze sono complementari e contribuiscono entrambe al lavoro del Partito. In altri periodi diventano antagoniste e incompatibili. La sinistra deve trasformare la destra. Se la destra risulta irriducibile, la deve espellere.
Il centralismo democratico e la lotta tra le due linee non sono e non possono essere due termini opposti di un’unità dialettica e non lo possono essere in quanto essi hanno natura diversa. Il primo è un principio organizzativo, “inventato dagli uomini” che vedendo le leggi di sviluppo dei processi hanno definito leggi e comportamenti adeguati a tali leggi, adatti a gestirle e a garantire lo sviluppo (del partito) stante le leggi contraddittorie di sviluppo. Il centralismo democratico c’è, esiste, se si decide coscientemente di applicarlo. È quindi una scelta soggettiva e cosciente.
La lotta tra le due linee invece è una legge oggettiva che sta “nelle cose” (cioè nei rapporti tra gli individui, nei rapporti sociali della società divisa in classi), prima e al di là della coscienza che di essa ne hanno gli uomini (sulla base del principio della “universalità della contraddizione”). Essa, scoperta da uomini, è stata definita in un caso particolare, cioè all’interno del partito, come lotta tra le due linee. Essa definisce la lotta più in generale che si svolge nella società capitalista, tra la borghesia e il proletariato e ancora più in generale è lotta che si sviluppa tra il vecchio e il nuovo, tra il giusto e lo sbagliato nella conoscenza e nella coscienza degli uomini. Essa esiste al di là della consapevolezza che ogni individuo o gruppo di individui ne ha. I comunisti l’hanno individuata fino a definirla (Mao) lotta tra le due linee. Essa è strettamente legata al processo della conoscenza, tale processo ha sue leggi di sviluppo (vedasi il brano di Mao su La Contraddizione, vol. 5 Opere di Mao).
Il centralismo democratico è stato proposto da Lenin durante il II Concesso del POSDR (vedasi Opere di Lenin, vol. 7) e aveva un preciso significato in quel dato momento storico, per quel che stava avvenendo all’interno del POSDR. Era una risposta concreta a una situazione concreta. Il centralismo democratico si è rilevato funzionale al di là di quel momento storico determinato ed è diventato un principio organizzativo che caratterizza e ha caratterizzato ogni partito comunista da allora ad oggi.
Esso è un insieme di regole che permettono la lotta tra le due linee senza spaccare il partito di fronte ad ogni divergenza. Permettono il dibattito, la lotta tra il giusto e lo sbagliato, tra il vecchio e il nuovo senza immobilizzare il partito; la minoranza si rimette alla maggioranza perché in tal modo vi è nella diversità la possibilità di azione comune; perché in tal modo il partito, nella sua lotta contro il nemico di classe, si muove unito come un sol uomo nonostante le divergenze al suo interno. Con il centralismo democratico il partito garantisce il dibattito, prende atto dell’esistenza di una minoranza (che esisterà sempre, anche essa sta nelle cose al di là della volontà degli uomini), e fa in modo che essa esista senza compromettere il partito stesso. Il centralismo democratico garantisce la democrazia attraverso la elezione dei propri dirigenti e attraverso il fatto che tali organismi dirigenti eletti rispondo periodicamente allo stesso congresso che li ha eletti. Garantisce poi il raggiungimento di un’unità ideologica più alta perché al momento del bilancio la teoria verrà confutata o affermata dalla pratica. La maggioranza sarà quindi confermata dalla pratica e non sarà confermata da se stessa.
Il (n)PCI sembra non riconoscere che centralismo democratico e lotta tra le due linee hanno una natura diversa. Esso mette sullo stesso piano i due principi, definendoli entrambi principi organizzativi, e poi, ancora peggio, afferma che a volte ne vale uno, a volte ne vale un altro. A volte….quali volte? Si suppone che voglia dire che quando la lotta tra le due linee assume un carattere antagonista, la sinistra deve espellere la destra (“La sinistra deve trasformare la destra. Se la destra risulta irriducibile, la deve espellere”). In questo caso secondo il (n)PCI non varrebbe più il principio organizzativo del centralismo democratico, ma il “principio organizzativo” della lotta tra le due linee. Bene, ma se la minoranza fosse la sinistra (come è capitato tante volte nella storia del movimento comunista, una per tutte la sinistra nel PCI di Togliatti), come farebbe questa sinistra ad espellere la destra che, in quanto maggioranza, sicuramente non si farebbe espellere da una minoranza? Come funziona questo “principio organizzativo” inventato dal (n)PCI? Chi definisce chi è la destra e chi la sinistra? In realtà la sinistra, nel caso fosse minoranza, dovrebbe conquistare il centro (diventare maggioranza) e isolare la destra. Mentre il (n)PCI pensa (anche se nello Statuto non lo dice) che la maggioranza sia sempre la sinistra e, come afferma anche il Partito del Carc (organizzazione della carovana del (n)PCI), la maggioranza ha sempre ragione (sic!), quindi quando le contraddizioni si fanno antagoniste (cioè quando la minoranza, che secondo il (n)PCI) è sempre destra, non è più compatibile) la destra viene espulsa, anche con sotterfugi, giochetti e non attraverso un dibattito franco e aperto che permetterebbe la conquista della maggioranza da parte della sinistra e principalmente permetterebbe il raggiungimento di un’unità ideologica a un livello più alto. E questo è come dire, tra l’altro, che Togliatti era la sinistra (il contrario di quanto affermato nel MP del n(PCI) a pag. 247) in quanto era la maggioranza. Affermare ciò significa negare praticamente la lotta tra le due linee come legge di sviluppo della conoscenza, come legge della contraddizione, come legge di sviluppo interna al partito.
Mao dice che quando era in minoranza portava avanti la battaglia, ma si rimetteva sempre al centralismo democratico. Effettivamente, a parte alcuni casi in cui si decide di rompere il partito con espulsioni o fuoriuscite, la lotta tra le due linee può avvenire solo rispettando il centralismo democratico. La lotta tra le due linee avviene attraverso il dibattito, avviene conquistando a sé una maggioranza (in generale ogni nuova idea parte da una minoranza di individui perché ogni cosa nuova nasce piccola), e se la minoranza conquista la maggioranza, secondo il principio del centralismo democratico, sarà la parte che definirà la linea di quel momento del partito e la minoranza (che inizialmente, prima dello sviluppo del dibattito, era maggioranza) si dovrà sottomettere.
Innalzare la lotta tra le due linee a livello di principio organizzativo dimostra: 1) che il (n)PCI pecca di soggettivismo confondendo ciò che è scelta soggettiva con ciò che è processo oggettivo, 2) di avere una certa confusione sulla dialettica, 3) di avere una concezione dogmatica in base alla quale la maggioranza ha sempre ragione, in quanto maggioranza ed è sempre la sinistra, concezione in collisione con la storia e con la realtà, 4) che i dirigenti del (n)PCI ritengono di non aver bisogno di apporti di nessuno perché sono loro a tenere la verità, al loro interno e al loro esterno, 5) che lo sviluppo del partito non è un processo complesso di trasformazione, ma è (o almeno loro vorrebbero che fosse) un processo monolitico in cui è definito una volta e per tutti dove sta la verità, dove sta la sinistra, ecc. La storia della costruzione del (n)PCI e infine del suo congresso lo dimostrano.
Coordinamento dei Collettivi Comunisti
14 aprile 2010
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